La scelta

Pubblicato il 2 dicembre 2024 alle ore 09:17

Il giorno delle dimissioni, mi fu posta una domanda che mi rimase impressa: "Vuoi avere un figlio o prendere la pillola?" La mia prima reazione fu chiara, perché il desiderio di diventare madre c'era già, ma in quel momento non volevo assolutamente prendere la pillola.

Tuttavia, riflettendo, questa scelta mi ha fatto sentire un po' oppressa. Mi resi conto che, sebbene il desiderio di maternità fosse forte, non mi sentivo pronta. Eppure, sapevo che dovevo farlo per la mia salute. È proprio qui che è iniziata la mia riflessione più profonda: sentirmi in dovere di scegliere per il mio corpo, anche senza essere psicologicamente pronta.

Il pensiero più ricorrente era: "E se lo faccio solo per motivi di salute e non sono davvero pronta a crescere un bambino?" La maternità è una responsabilità immensa, e l'idea di mettere al mondo un bambino mi riempiva di dubbi. Sarei stata in grado di dargli l’amore di cui avrebbe avuto bisogno? Avrei potuto offrirgli una casa sicura e una stabilità emotiva ed economica? Queste domande continuavano a tormentarmi, facendomi sentire in bilico tra il desiderio e la paura di non essere all'altezza.

Alla fine, ho deciso di aspettare. Non volevo che un bambino venisse al mondo in una situazione non ideale, con genitori non del tutto pronti e una casa che non fosse un rifugio sicuro.

Una delle cose più difficili da gestire è la pressione esterna. Ogni volta che qualcuno mi chiede: "Allora, quando farai un figlio?", sento un peso schiacciarmi il petto. Questa domanda, spesso fatta con leggerezza o semplice curiosità, mi rattrista profondamente, perché nasconde una realtà che pochi conoscono: per me, rimanere incinta non è facile. È un desiderio che porto nel cuore, ma anche una strada piena di ostacoli e di paure.

Devo ammettere che, spesso, sono costretta a fingere che questa domanda non mi tocchi, come se non fosse poi così importante per me. Sorrido, rispondo con frasi di circostanza, ma dentro di me le emozioni si mescolano in un vortice di dolore, frustrazione e speranza. Fingere che non sia un tema delicato è una difesa, un modo per evitare di mostrare la mia vulnerabilità e la complessità di ciò che vivo.

A volte mi chiedo se chi fa queste domande si renda conto di quanto possano essere invasive. Dietro quel semplice "quando" c'è tutto il mio percorso, la mia battaglia con la malattia, la paura di non essere in grado di diventare madre e la preoccupazione di dover accettare un possibile "no" dalla vita stessa. Ogni volta che mi viene chiesto, devo ricordarmi di respirare, di non lasciarmi sommergere dalla tristezza e di mantenere la mia forza, per quanto difficile possa essere.

Questa pressione sociale è un altro aspetto che rende tutto più complicato. È come se dovessi non solo confrontarmi con i miei dubbi e paure, ma anche con le aspettative degli altri. Eppure, in tutto questo, ho imparato a proteggere il mio spazio, a concedermi la possibilità di provare emozioni contrastanti e a trovare il coraggio di scegliere il mio tempo, nonostante tutto.

Ogni anno, speravo con ansia che le visite di controllo dessero buone notizie, speravo che il mio corpo stesse bene e mi concedesse ancora tempo. Non volevo affrontare un’altra operazione; quella che avevo subito era stata già abbastanza dura, e il pensiero che la malattia potesse ripresentarsi era un peso costante.

Col passare del tempo, ho maturato l'idea che, se fosse tornata la necessità di un nuovo intervento, avrei considerato la possibilità di rimuovere tutto, sapendo che questo significava rinunciare definitivamente alla maternità. Questa consapevolezza mi ha fatto riflettere su quanto la gravidanza mi emozioni, ma allo stesso tempo mi spaventi. Le possibili complicazioni, l’incertezza di essere un buon genitore, il timore di fare una scelta affrettata: tutto questo mi tratteneva.

Non è stato facile accettare che il mio corpo fosse cambiato dopo l'operazione. Era gonfio e si comportava diversamente. L'idea di affrontare una gravidanza subito dopo l'intervento mi sembrava impensabile: avrei dovuto accettare un altro cambiamento importante senza nemmeno il tempo di riprendermi e ritrovare me stessa. Ho dedicato molto tempo ed energie a trovare esercizi adeguati e una dieta che aiutassero la mia pancia a sgonfiarsi, perché la nostra malattia è, in sostanza, un'infiammazione costante. Se non si presta attenzione, il gonfiore persiste.

So che molte persone pensano che la maternità sia la cosa più bella che si possa vivere, e concordo, non vedo l'ora di viverla. Ma credo fermamente che, prima di tutto, dobbiamo sentirci bene con noi stesse e accettarci per quello che siamo. Solo così possiamo dare il massimo come genitori. Voglio offrire al mio futuro figlio non solo amore, ma anche stabilità e la migliore versione di me. Perché lui, o lei, merita un genitore presente e al meglio delle sue capacità.

Ora, con il prossimo controllo alle porte, spero che il mio corpo continui a comportarsi bene come ha fatto finora. Sono cresciuta e, nel frattempo, il desiderio di creare una nuova vita è diventato più forte, anche se i dubbi e le paure restano. Ogni passo che ho fatto mi ha portato a questo punto, e continuerò a camminare con la speranza e il desiderio di diventare madre, ma sempre con la consapevolezza che la strada verso questa scelta deve essere intrapresa con rispetto e amore verso me stessa.

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